Prepararsi al Viaggio in India, ovvero: riconoscere Gaṇeśa come guardiano della soglia

Pubblicato il 24 marzo 2025 alle ore 07:58

Gaṇeśa è Vināyaka, “Colui che rimuove gli ostacoli”. Sono cinquantasei (in sette cerchi concentrici, nelle otto direzioni spaziali) i Vināyaka che proteggono la città di Benares. 

 

Un giorno, mentre Pārvatī faceva il bagno, Śiva entrò nelle sue stanze e lei si vergognò. La dea allora pensò: "Dovrei avere un servitore virtuoso che mai contravvenga ai miei ordini" e, dopo aver così pensato, con la sporcizia del suo corpo creò una persona bella in tutte le membra, priva di difetti, ricca di splendore, vigore ed eroismo, le diede vesti e ornamenti e disse: "Figlio mio, da oggi sii il mio guardaporta! Senza il mio permesso, nessuno potrà mai entrare nelle mie stanze". Posto suo figlio a guardia della porta, la dea tornò a fare il bagno con le amiche, ma Śiva giunse di nuovo. Il giovane gli bloccò l'accesso. "E tu, stolto, a chi vorresti proibire qualcosa? Idiota! Non sai che io sono Śiva?". Per tutta risposta, quello lo colpì col bastone. Śiva, infuriato, convocò allora i suoi fedeli servitori, i gaṇa, ordinando loro di indagare su di lui e di convincerlo ad andarsene. Anche i gaṇa, però, vennero picchiati e cacciati via, così Śiva pensò: "Combattere non conviene a nessuno. D'altro canto, se agirò con le buone, ovunque si dirà che Śiva è sottomesso alla moglie". Tra quel giovane e i gaṇa scoppiò dunque la battaglia e nella mischia finirono per gettarsi anche tutti gli altri dèi. 

Il figlio di Pārvatī sembrava invincibile, eppure, alla fine, Śiva riuscì a mozzargli la testa, provocando la furia della dea, che minacciò di distruggere l'universo intero. Per placare la sua ira, i saggi giunsero da lei, la propiziarono e invocarono il suo perdono. "Eviterete la distruzione solo se mio figlio tornerà in vita, se lo venererete e gli accorderete un posto di comando!", rispose lei. Così Śiva ordinò loro di incamminarsi verso nord, di mozzare la testa alla prima persona incontrata e di incorporarla nel giovane ucciso.

I saggi si misero in cammino e il primo che incontrarono fu un elefante. Dopo aver fatto quanto era stato loro ordinato, irrorarono il corpo del giovane figlio di Pārvatī con acqua consacrata dai mantra e, immediatamente, egli si rianimò: era bello, assai bello, con la testa elefantina, rosso di carnagione e d'amabile aspetto. Fu mostrato alla dea, che esultò, abbracciandolo e baciandolo, e Śiva finì per nominarlo capo dei gaṇa e renderlo degno di culto.