Prepararsi al Viaggio in India, ovvero: seguire il corso del Gange

Pubblicato il 28 marzo 2025 alle ore 14:18

Un tempo Ayodhyā era governata dal virtuoso re Sagara.

Costui aveva due mogli, Sumati e Keśinī che gli diedero, l'una, sessantamila figli e l'altra, un figlio solo, di nome Asamañjas. Il re decise di celebrare un solenne aśvamedha, il sacrificio del cavallo. Il dio Indra assunse allora le sembianze di un demone, rapì il cavallo e lo condusse nelle regioni sotterranee, là dove il saggio Kapila era immerso nell'ascesi. Sagara ordinò dunque ai suoi sessantamila figli di andare in cerca dell'animale, perlustrando in lungo e in largo tutta la terra. Nell'eseguire l'ordine paterno, essi si misero a scavare e martoriare la superficie terrestre, per raggiungerne le profondità, mettendo in allarme perfino gli dèi, tanta era la loro foga.

Arrivarono infine al luogo dove Kapila meditava e lì,  trovato il cavallo, sfogarono la collera sul saggio, ingiuriandolo e colpendolo ferocemente. Kapila li maledisse e li incenerì con lo sguardo, facendoli finire all'istante agli inferi.

Aṃśumat, il virtuoso nipote di Sagara, figlio di Asamañjas, andò a recuperare il cavallo e, affranto al cospetto di quelle ceneri, pensò di offrire delle oblazioni di acqua, ma nei dintorni non riuscì a trovarne. Fu Garuḍa, il rapace, cavalcatura di Viṣṇu, a consolare il principe, vaticinandogli la futura discesa di Gaṅgā per la purificazione delle ceneri degli zii. Egli tornò dal nonno e il sacrificio poté concludersi conformemente alle sacre prescrizioni.

Alla morte di Sagara, salirono al trono prima Aṃśumat, poi suo figlio Dilīpa e infine il figlio di questi, Bhagīratha, il quale affidò le sorti del regno ai suoi ministri e si votò a una terribile ascesi allo scopo di ottenere la discesa sulla terra di Gaṅgā. Trascorsero così mille anni, finché, compiaciuto della sua devozione, Brahmā apparve al penitente per accordargli il dono richiesto, precisando, però, che si sarebbe reso necessario l'intervento di Śiva per frenare l'impeto irresistibile della fiumana celeste.

E così avvenne. Gaṅgā si precipitò sul capo del dio, con la presuntuosa convinzione di poterlo trascinare, con la furia della sua corrente, sino alle regioni infere, ma Śiva la intrappolò per molto tempo fra le spire dei suoi capelli, senza permetterle di trovare una via di fuga. Bhagīratha allora dovette propiziare il dio per far sì che ne liberasse le acque, facendole poi cadere nel lago Bindusaras, sulle cui sponde egli aveva praticato l'ascesi. Quelle acque si divisero quindi in sette correnti e la settima prese a seguire l'asceta, suscitando il giubilo universale al suo passaggio. Gaṅgā s'inoltrò poi nelle regioni sotterranee, le inondò completamente e purificò le ceneri di quegli antenati, i quali raggiunsero infine il mondo celeste.