Śiva, ormai dimentico dell'ascesi, si dedicava solamente ai giochi amorosi con la sua sposa Satī. Nel frattempo, Dakṣa, il padre di Satī, aveva dato inizio alla celebrazione di un grande sacrificio a beneficio dell'intero universo, sacrificio al quale tutti gli dèi vennero invitati.
Gli unici esclusi furono, appunto, la figlia e il divino genero, quest'ultimo non gradito in quanto portatore del teschio e frequentatore dei luoghi impuri.
In preda alla collera e allo sdegno, Satī prese allora la terribile risoluzione di darsi la morte, facendo fuoriuscire dal suo corpo i soffi vitali.
Quando Śiva la raggiunse e la trovò senza vita, s'infiammò e, con lo splendore del sole alla fine di un ciclo cosmico, sprigionò da orecchie, naso, occhi e bocca dei tremendi dardi infuocati; poi inviò sul luogo del sacrificio un'emanazione della sua ira, lo spaventosissimo Vīrabhadra, il quale distrusse tutto quel che Dakṣa aveva approntato.
Ricordando le innumerevoli qualità della sua amata sposa, Śiva si disperava come un comune essere umano: rievocando i momenti vissuti insieme, passava dal riso al pianto, gridava il suo nome, la stringeva, le toglieva e rimetteva gli ornamenti, senza posa.
Al pensiero che le lacrime di Śiva, una volta raggiunta la terra, l'avrebbero certamente incenerita, Brahmā e gli altri dèi, allarmati, pensarono a una soluzione: così, mentre il dio, con Satī sulle spalle, errava follemente, sconvolto dal dolore, essi penetrarono nel cadavere e lo smembrarono dall'interno, facendone cadere a terra i pezzi.
Caddero per primi i piedi, poi le cosce, poi la vulva e pure l'ombelico; cadde il seno ornato di collane d'oro, caddero le spalle, il collo e la testa...
Molti altri frammenti finirono nella Gaṅgā celeste, portati via dal vento.
Così Śiva, infine, si placò e decise di stabilirsi, nella forma fallica del liṅga, in ogni luogo dell'India in cui erano cadute le parti dell'amata.
Ciascuno di questi luoghi è diventato un pīṭha, un "seggio" della dea.
Nei pressi del Mīra-ghāṭ, a Benares, si trova il tempio di Viśālākṣī ("Quella dai grandi occhi"), che è appunto uno dei seggi celebrati dalla tradizione.
Lì, ci viene raccontato, a cadere furono gli orecchini della dea.
Ma come Śiva divenne il "Portatore del teschio"?
Ce lo narra un'altra storia (v. "Prepararsi al Viaggio in India, ovvero: la colonna di luce e il Portatore del teschio").
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