Antyeṣṭi, "l'ultimo sacrificio": così si chiama il rito funebre descritto dettagliatamente nelle antiche fonti hindū.
Le prescrizioni rituali cominciano già durante l'agonia (mantra di buon auspicio da sussurrare all'orecchio del morente; trasporto del morente nei pressi di un guado sacro; posizionamento del morente a terra con la testa rivolta a nord, affinché non resti confinato in uno spazio intermedio abitato da spiriti molesti). A morte avvenuta:
"Si introduce nella bocca del defunto qualche foglia di tulasī, il basilico indiano, e alcune gocce dell'acqua del Gange o della Yamunā (...). La salma è lavata, vestita e decorata di fiori. (...) Si legano gli alluci e i pollici tra di loro, si fasciano strettamente le braccia lungo i fianchi e le gambe con il sudario; questo deve essere intessuto di una seta mai usata prima (...). La seta scelta per gli uomini è bianca o talvolta gialla, mentre è sempre rossa per le donne, simboleggiando in questo modo il biancore del seme e il rossore del sangue (...). Il brahmano officiante si munisce di cinque dolci sferici (piṇḍa) impastati di acqua e farina per compiere il rito del 'viaggiatore'. Il primo dolce è offerto al genio che abita il suolo della stanza in cui è avvenuta la morte; il secondo allo spirito della soglia di casa; il terzo alla divinità dei crocicchi che il corteo funebre attraverserà; il quarto al genio del terreno del campo di cremazione; il quinto al fuoco della pira (...). Il corteo funebre è aperto dal figlio primogenito, che può portare un tizzone del focolare domestico conservato in una lucerna di terracotta, con cui accenderà la pira. Il cadavere, come una vittima sacrificale destinata al fuoco sacro, nel corteo viene immediatamente dopo, sulla bara portata da sei o più inservienti; seguono i parenti più stretti in ordine decrescente di età, per primi i più anziani, poi i più giovani, i membri dello stesso clan, gli amici. Le donne invece rimangono a casa, con l'eccezione della vedova; oggi però la sua partecipazione fuggevole al funerale è assai rara (...). Quando la pira è pronta, i portatori immergono nell'acqua sacra del fiume il cadavere fino alle ginocchia. Dopo quest'ultima purificazione, la salma è sciolta dalla barella e fatta giacere sulla pira con la testa a nord e i piedi rivolti verso sud. Da questo momento la deambulazione intorno al cadavere è fatta in senso antiorario (...). Il primogenito compie assieme ai parenti più stretti cinque deambulazioni, quindi appicca il fuoco alla legna della pira, offrendo il corpo del padre al dio Agni come una vittima sacrificale. Egli invoca il seguente mantra: 'Agni, divora questo corpo fino alle ceneri; non fargli del male, non disperdere la sua pelle e i suoi arti. Quando questo corpo sarà bruciato correttamente, conducine l'anima agli antenati'. E poi, rivolgendosi al morto: 'Possa la tua vista andare al sole, possa il tuo soffio vitale (prāṇa) confondersi con l'atmosfera, possa tu procedere, secondo le azioni virtuose che hai compiuto (...)'. Quindi i presenti attendono la distruzione del cadavere, che normalmente impiega dalle tre alle cinque ore per scomparire. A causa del calore, dopo un po' di tempo la calotta cranica scoppia. Se ciò tardasse ad avvenire, il figlio deve rompere il cranio del cadavere (...), in questo modo si permette l'uscita dell'ultimo prāṇa che ancora si attarda in esso. Questa azione rituale è nota come 'rito del cranio', kapāla-kriyā. Qualora il fuoco tendesse a spegnersi prima di aver compiuto la sua opera, si gettano sulla pira alcune cucchiaiate di burro chiarificato per alimentarne la fiamma. Quando il fuoco scema d'intensità e appare evidente che il corpo è stato ben consumato, si spegne quello che resta della pira versandovi dell'acqua. Le ceneri nascondono spesso frammenti di ossa che hanno resistito al calore. Il giorno della cremazione, oppure il terzo, o il decimo giorno di lutto, a seconda delle tradizioni, avviene la raccolta di questi frammenti (asthi-saṃcayana): sono presi tra pollice e anulare e deposti delicatamente in una piccola giara di terracotta che, in seguito, sarà immersa nell'acqua sacra di un fiume. In alcune parti dell'India è ancora vigente l'antica usanza di spargere ossa e ceneri in un luogo deserto, o di affidare il contenitore delle ossa a un albero sacro (...). Dopo la raccolta dei resti ossei, le famiglie più abbienti fanno mungere una vacca per dieci giorni di seguito. Gran parte di questi riti non è possibile sulle scalinate di Benares: la straordinaria sacralità del luogo surroga alla semplificazione del rito (...). Le ceneri umane, confuse con quelle del legname della pira, sono raccolte e disperse nell'acqua del corso più vicino (...). Il ritorno è mesto e scandito dalle invocazioni del monosillabo sacro Oṁ. Quando il corteo raggiunge l'entrata della casa del defunto, le donne, che non avevano partecipato al funerale, fanno sentire i loro lamenti. A un cenno di chi ha condotto le cerimonie funebri, il corteo si scioglie. Tutti si laveranno i piedi prima di entrare nelle rispettive case; quindi avranno cura di compiere un'abluzione completa per liberarsi dell'impurità acquisita" (Gian Giuseppe Filippi, Il mistero della morte nell'India tradizionale).

